Riding Classics 80s: Yamaha FZR 1000 EXUP vs FZR 750 R OW01

Qualche tempo fa ho avuto la fortuna di provare la leggendaria FZR 750 R, meglio conosciuta con il nome in codice OW 01, alternandola alla mia fidata FZR 1000. Ricordo quel pomeriggio con enorme piacere: nonostante la strada, più panoramica e adatta a un picnic che a un vero test motociclistico, non ci misi molto a cogliere quanto queste due affascinanti motociclette condividessero la stessa matrice, pur divergendo radicalmente nelle loro finalità.

Ufficiale e gentiluomo: la filosofia del diapason

Nel 1989, in Yamaha, avevano le idee ben chiare sui ruoli distinti che queste due moto avrebbero dovuto ricoprire. A trentacinque anni di distanza – un’era geologica nel mondo dei motori – poco o nulla è cambiato. O quasi. “Quasi”, perché oggi questi oggetti, accomunati da un’estetica magnetica fatta di grafiche semplici ma d’impatto e da componenti ciclistiche ancora impressionanti, hanno assunto una destinazione d’uso più conservativa e rispettosa rispetto a quella originaria. “Poco”, perché anche in una soleggiata domenica, su una strada piacevole ma poco impegnativa per ciclistica e motore, si percepisce chiaramente la diversa vocazione che gli ingegneri di Iwata impressero a queste due sculture meccaniche.

Entrambe sono nate per l’uso sportivo, con ergonomie peculiari: la OW 01 è più tradizionalmente racing, con una sella alta, il busto disteso e i polsi caricati; la 1000, invece, è meno estrema, con polsi scarichi, busto proteso e pedane alte e arretrate. Ma se la 1000 si rivela malleabile, generosa e accomodante, la 750 è intemperante, affilata e insofferente. La prima è pensata per la guida sportiva su strada, la seconda si limita ad adattarvisi, essendo stata concepita per divorare l’asfalto dei circuiti. È come un pugile professionista che si presta a un combattimento cinematografico: può farlo, ma inevitabilmente sacrifica parte del suo talento naturale per adeguarsi ai limiti della scena.

Il talento della OW 01

Il talento della FZR OW 01 si manifesta in inserimenti precisi e fulminei, ottenuti con uno sforzo minimo e costante anche nelle curve più rapide, in una sincerità disarmante in ogni situazione e in una comunicatività straordinaria. E tutto questo – come se non bastasse – con gomme di quindici anni fa! Ma basta una lieve imperfezione dell’asfalto o l’intrusione di un’auto a spezzare il ritmo e, con esso, l’incantesimo. A quel punto, ci si accorge che i polsi dolgono, che il motore, pur lineare, sotto i 7.000 giri ha la spinta di una 600 coeva, e che il monoammortizzatore non ama filtrare le asperità, ma solo garantire trazione e assetto a ritmi da gara. Su strade anche solo minimamente dissestate, la guida diventa faticosa, a tratti frustrante.

Con la 1000, invece, si viaggia altrettanto veloce ma con meno sacrificio. La comunicatività è eccellente e le sospensioni, capaci di filtrare bene, mantengono un rigore ciclistico anche su asfalti non perfetti. Tuttavia, le frequenze che la 750 può raggiungere sono epiche: la moto si trasforma in un autentico strumento musicale, che per essere suonato al meglio richiede un palcoscenico adeguato e un “direttore d’orchestra” paziente e ispirato.

Due perle senza tempo

Qualunque sia il nostro stato d’animo – pilota ufficiale o gentleman driver – queste due gemme della casa di Iwata sanno assecondarlo magnificamente. Relegarle a un collezionismo statico sarebbe davvero uno spreco. Un ringraziamento speciale a Davide per avermi dato questa opportunità.

Alessandro Rimprocci

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